Il licenziamento verbalmente comunicato dal datore di lavoro rappresenta una situazione di grande incertezza e stress, in cui le parole possono avere effetti devastanti pur non essendo formalmente vincolanti. La legge, infatti, impone la forma scritta per la validità del licenziamento, e una comunicazione orale, se non successivamente confermata per iscritto, è priva di effetti giuridici. Questo significa che, in mancanza di un documento ufficiale – per esempio, una raccomandata con ricevuta di ritorno – il rapporto di lavoro continua a sussistere e il dipendente mantiene il diritto alla retribuzione, oltre a continuare a maturare i propri diritti contrattuali.
Quando un datore di lavoro pronuncia frasi come “non farti più vedere” o altre espressioni simili, il dipendente si trova in una condizione di apparente interruzione, ma la mancanza di formalità impedisce l’effettiva cessazione del rapporto. In tali situazioni, la regola fondamentale è quella di presentarsi regolarmente al lavoro, a meno che non venga ricevuta una comunicazione scritta che sancisca il licenziamento. Se il datore di lavoro tenta di impedire l’accesso o di modificare unilateralmente le mansioni, il dipendente è chiamato a documentare ogni episodio. È essenziale conservare prove concrete – testimonianze di colleghi, registrazioni video o audio, email e messaggi – che possano attestare la mancata formalizzazione del licenziamento e il comportamento scorretto del datore di lavoro.
Un rischio particolarmente insidioso in queste circostanze è la tentazione di ricorrere a una “malattia strategica”. Il dipendente, frustrato dalla comunicazione orale e dalla mancanza di chiarezza, potrebbe essere indotto a dichiararsi malato per evitare il lavoro. Tuttavia, tale condotta è estremamente pericolosa. Dal momento che, in assenza di una notifica scritta, il lavoratore è tenuto a presentarsi al posto di lavoro, dichiararsi malato in maniera strategica potrebbe configurare un comportamento fraudolento. Se l’INPS o il medico incaricato durante la visita fiscale dovessero accertare incongruenze – ad esempio, se il dipendente venisse sorpreso mentre svolge attività incompatibili con lo stato di malattia – il rischio è duplice: si potrebbe procedere con il licenziamento per giusta causa e, in aggiunta, il lavoratore potrebbe essere denunciato per truffa.
Altra questione critica riguarda il demansionamento. Se il datore di lavoro, dopo aver pronunciato il licenziamento verbale, inizia ad assegnare mansioni inferiori rispetto al livello contrattuale o a impedire l’accesso all’ambiente di lavoro, il dipendente si trova di fronte a una situazione che potrebbe configurare mobbing o una forma di trattamento vessatorio. In tali casi, è indispensabile raccogliere ogni possibile prova che documenti il demansionamento o il comportamento discriminatorio. Le evidenze raccolte, se poi presentate in sede giudiziaria, possono costituire la base per una richiesta di risarcimento dei danni, sia patrimoniali che morali, dovuti al danno subito a causa del trattamento ingiusto.
La corretta strategia, quindi, prevede un comportamento misurato e documentato. Innanzitutto, il lavoratore deve continuare a recarsi sul posto di lavoro e notificare, tramite una comunicazione formale – da inviare per raccomandata o PEC – la propria presenza, dichiarando la volontà di lavorare e sottolineando che non è stato formalmente licenziato. Tale “messa a disposizione” diventa un elemento fondamentale nel caso in cui si renda necessario contestare il licenziamento in un secondo momento. Inoltre, nel momento in cui il dipendente riceva, eventualmente, la comunicazione scritta del licenziamento, avrà un termine di 60 giorni per contestare tale provvedimento, inviando una comunicazione formale al datore di lavoro che illustri i motivi per cui il licenziamento risulta illegittimo. Successivamente, entro i successivi 180 giorni dalla contestazione, sarà necessario avviare un procedimento giudiziario presso il Tribunale del Lavoro o, in alternativa, presentare un’istanza di conciliazione all’Ispettorato del Lavoro, così da tutelare definitivamente i propri diritti.
Il quadro complesso in cui si inserisce il licenziamento verbale richiede, dunque, una risposta tempestiva e ben ponderata, in cui il lavoratore, invece di farsi prendere dalla tentazione di azioni immediate come la dichiarazione di malattia, deve orientarsi verso una raccolta sistematica delle prove e una comunicazione formale che documenti ogni episodio. In questo modo, si evitano comportamenti che potrebbero inficiare la propria posizione contrattuale e si costruisce un dossier solido da presentare in sede giudiziaria. È importante ricordare che, sebbene il licenziamento verbale sia, per principio, nullo, ogni comportamento del datore di lavoro che tenti di far cessare il rapporto senza la necessaria formalizzazione può avere ripercussioni concrete sul diritto del lavoratore a continuare l’attività o a ottenere un risarcimento per il danno subito.
In conclusione, il dipendente che si trova a fronteggiare un licenziamento verbale deve mantenere la calma, continuare a presentarsi al lavoro e documentare accuratamente ogni elemento che possa dimostrare la mancata formalizzazione e i comportamenti vessatori del datore. Evitare la malattia strategica e ogni comportamento che possa essere interpretato come fraudolento è fondamentale per non compromettere la propria posizione. Solo attraverso un approccio metodico e la raccolta di prove concrete si potrà trasformare una situazione apparentemente caotica in un’opportunità per far valere i propri diritti, ottenendo un eventuale risarcimento e garantendo la tutela della propria posizione lavorativa.